<<Islam: non solo <<la religione di migranti>> di AbdAllah Massimo Cozzolino
Islam: non solo <<la religione di migrati>>
AbdAllah Massimo Cozzolino
In un clima di preoccupante sconcerto per quanto accade in Medio Oriente, nonostante i pronunciamenti chiari e netti dei musulmani riguardo la violenza e il terrorismo – di cui l’ultimo, la settimana scorsa, in questa sede alla presenza della Presidente della Camera On. Boldrini- assistiamo ad una forma di irrigidimento di quel percorso e di quel processo, di fluida dinamica integrativa, come direbbe Baumann, che musulmani e cristiani stanno compiendo ormai da anni. L’islamofobia rappresenta una nuova e, per certi versi, inusuale forma di discriminazione che tende a ridurre l’Islam alla religione dei migranti. Nel pregiudizio razzista anti-islamico possiamo scorgere una ri- attualizzazione dell’idea fisica e simbolica del ghetto. L’islamofobia presenta una sorprendente analogia con l’antisemitismo storico: entrambe sono credenze che si nutrono dell’idea che la religione dell’altro sia <<impura>>: ieri il <<mito ariano>>, oggi la civiltà occidentale considerata come unica e superiore. L’ostilità verso l’Islam e i musulmani presenti in Europa è uno degli elementi costitutivi dell’identità Occidentale che si è definita in antitesi all’Oriente e alla civiltà arabo- islamica, rappresentata con blocchi monolitici connotati da arretratezza, oscurantismo e fanatismo.
Il dialogo cristiano- islamico e l’impegno delle comunità religiose, rappresentano un efficace rimedio, anche se, purtroppo, solo in parte risolutivo, contro il latente e periodicamente emergente disagio culturale che porta al rifiuto dell’ “ospite inquietante”, attraverso la riproposizione di una presunta rigida plasticità identitaria dagli effetti disastrosi sul piano dei diritti civili e della tutela delle libertà. Sottacendo la lunga storia di rapporti, di contatti pacifici e di scambi reciproci avutisi nel Mediterraneo, l’universo religioso islamico viene spesso identificato come un unico stereotipo di tipo culturale associato ad atteggiamenti fondamentalisti, a procedure totalitarie o ad immagini di un terrorismo brutale e in sé inaccettabile.
Il problema multiculturale coinvolge inevitabilmente il problema dell’identità, della sua costruzione e del suo mantenimento, del rapporto tra identità collettive e del rapporto tra identità individuale ed identità collettive: nella sua essenza, infatti, la multiculturalità consiste nella coesistenza di una molteplicità di identità culturali diverse, quindi di una molteplicità di identità costruite sulla condivisione.
Tanti studiosi e intellettuali come Budon, Searle, Wieviorka, Kymlicka, Modood, Talbi, Maffettone hanno messo in luce l’urgenza con cui la politica deve confrontarsi sui temi delle relazioni interculturali e della società multiculturale, spingendosi a considerare in modo attuale l’articolazione del <<diritto alla diversità>> che, in Italia, è stato più volte richiamato in riferimento all’ebraismo.
Di fronte a queste tensioni occorre riconsiderare alcuni capisaldi dell’esperienza giuridica occidentale, primo fra tutti l’affermazione alla dignità di ogni essere umano, sul quale poggiano il principio di uguaglianza – e specialmente di uguaglianza sostanziale – e la conseguente affermazione dei diritti di libertà. Probabilmente, stante la situazione attuale, si deve ritenere che più che di diritto all’uguaglianza, bisognerebbe parlare di uguale diritto ad essere diversi: senza la diversità come presupposto base, non sarebbe neanche proponibile un discorso su diritti e doveri, sulla cittadinanza attiva.
Le società europee sono caratterizzate da fenomeni (come la globalizzazione, il multiculturalismo, il relativismo strutturale) che oltre a modificare le manifestazioni del fenomeno religioso e, di conseguenza, l’organizzazione degli ordinamenti giuridici, modificano anche le relazioni intersoggettive all’interno dei sistemi sociali, incidendo su meccanismi tradizionali di regolamento della libertà religiosa. Questi meccanismi sovente mostrano elementi di debolezza insieme con linee evolutive. Del resto, anche il multiculturalismo/ l’interculturalità rientra tra questi fenomeni che impongono processi di adattamento e adeguamento non facili.
La giornata di dialogo cristiano- islamico, di cui quest’oggi, si discute dovrebbe rappresentare una spinta verso elementi innovativi, ed ecco la <<sfida>>, che contribuiscano in modo diretto all’articolazione normativa della nozione giuridica del multiculturalismo. Proprio attraverso il diritto vengono disciplinati e articolati i rapporti tra i diversi soggetti e tra le diverse culture. Il multiculturalismo inteso nella sua accezione più ampia, tende non solo a registrare le diversità e a favorire integrazione, ma anche a governarle, riconoscendo che esse costituiscono un valore in sé, che non viene indebolito dalla persistenza di confini (sociali, culturali, religiosi) o dalle difficoltà nei processi di integrazione. Integrare l’alterità è fenomeno che appartiene alle dinamiche sociali, attivate come manifestazioni critiche di una società che si auto-comprende nella sua dimensione evolutiva.
La dimensione religiosa costituisce oggi, non solo, un elemento caratterizzante del più ampio fenomeno multiculturale, ma diventa l’elemento prevalente in un contesto nel quale le religioni si spostano verso nuovi ambiti, diversi da quelli culturalmente e teologicamente ritenuti tradizionali. I musulmani, così come ogni associazione o aggregazione religiosa, in base alla propria visione della vita, regolano non solo i rapporti tra l’uomo e il trascendente, ma anche i rapporti intercorrenti tra i singoli fedeli e la comunità di appartenenza.
La Confederazione islamica Italiana considera come caratteri fondanti, fondamentali e indissolubili l’islamicità e l’italianità, e pertanto in quanto organismo integrato nel tessuto sociale italiano, riconosce pienamente i principi e i dettami della Costituzione Repubblicana italiana e si prefigge l’armonizzazione e la maggiore integrazione della comunità musulmana nel contesto sociale italiano. E’ lungo questo paradigma imprescindibile e indissolubile che si articola il nostro impegno e anche la nostra sfida per l’Islam italiano, inteso in un quadro di cittadinanza attiva.
La non regolamentazione del rapporto tra l’Islam e lo Stato Italiano costituisce sotto il profilo giuridico e civile, un elemento di debolezza che determina il permanere dell’Islam allo status di “religione degli immigrati” pur essendo numericamente la seconda religione del Paese e la religione di una minoranza consistente di cittadini italiani. A difetto di un organismo che rappresenti unitariamente le comunità musulmane d’Italia, nel loro complesso, la Confederazione Islamica Italiana rappresenta il concreto tentativo di aggregazione delle organizzazioni musulmane per trovare un dialogo con le istituzioni italiane al fine di evitare che la mancata regolamentazione con lo Stato italiano possa avere ricadute negative sulla società civile e sul corretto processo d’integrazione delle comunità musulmane d’Italia.
Per ovviare a tali difficoltà, ad una sorta di deficit normativo, noi auspichiamo che il dialogo religioso possa stimolare una forma di cittadinanza attiva e al contempo un processo autonomo di aggregazione dell’Islam, o almeno di alcune sue parti, in vista del riconoscimento giuridico. Dinanzi al frastagliato e complesso fenomeno delle varie componenti organizzative dei musulmani, siamo sicuri che questi momenti di dialogo e confronto costituiscano uno stimolo alla coesione e alla condivisione di valori e diritti nel rispetto della Costituzione italiana.
Rispetto al mutare dello spazio religioso in Italia, alle diverse fedi e alla diversa storia e tradizioni che amano le comunità di cittadini, occorre che la libertà religiosa venga interpretata in modo integrale, prevedendo in essa l’attuazione di aspetti concreti della quotidianità (edifici di culto, mense, cimiteri etc.) rispetto ai quali si misurano l’efficacia e la validità delle dinamiche di integrazione.
Non è possibile tradurre le culture senza sforzarsi di conoscere e quindi tradurre anche i rispettivi orizzonti di senso religiosi. Questa è la sfida importante che investe nel suo nucleo l’esperienza democratica e l’ideale stesso di democrazia. Esso obbliga a ripensare il significato ed il posto della categoria “religione” all’interno dell’esperienza giuridica e quindi il modo di pensare alle relazioni tra essa e la sfera pubblica occupata dal diritto.
Questa è una delle sfide principali per la riflessione giuridica contemporanea e di chi in particolare, come la Confederazione Islamica Italiana, è alla ricerca di un nuovo e più integrato rapporto tra la comunità dei musulmani e lo Stato italiano.
In conclusione, nel clima del dialogo cristiano- islamico, intendo riproporre qui il testo della lettera agli Efesini, che non rappresenta un patrimonio religioso comune, in cui Paolo di Tarso si rivolge ai pagani convertiti alla parola di Dio e ricorda loro che – dal punto di vista ebraico- essi erano da considerarsi come persone senza speranza e senza di Dio, uomini estranei alla salvezza e, in particolare, estranei alla vita di Israele. <<Così dunque non siete più né stranieri, né ospiti ma siete concittadini>> (2, 19). Il termine “straniero”, in greco xenos, indica l’estraneo in modo assoluto, colui che non fa parte dello stesso popolo. “Ospite” traduce invece un’altra parola, paroikos, che indica di per sé lo straniero residente, colui che è senza la pienezza dei diritti.
Nelle parole di Paolo di Tarso emerge, in modo chiaro, la possibilità di una vita alternativa, allora, come adesso, nella quale l’uomo sia realmente al centro, proprio perché Dio è al centro di tutto.
Dalla Sura intitolata alla famiglia di Imran, il versetto 31 recita: <<Dì (o Mohammed, al genere umano): se amate Dio seguite me; Dio vi amerà e perdonerà i vostri peccati perché Dio è perdonatore e Misericordioso>>.
Il richiamo ad essere devoti a Dio, anima e corpo, lungi dall’essere un richiamo ad una mera emozione o stato d’animo, è infatti un’ingiunzione che richiede un totale, costante e attivo amore di Dio. Si tratta di amore a cui il cuore spirituale più intimo e l’intera anima, con la sua intelligenza, volontà e sentimento, partecipano attraverso la devozione.